Quando si è piccoli si sognano tante cose: di diventare un giocatore di calcio famoso, di avere un aereo tutto per sè, o ancora di avere un grande castello ecc… Il mio sogno di quando ero piccolo, era di salire un giorno lo Spigolo Strobel sulla Rocchetta alta di Bosconero nelle Dolomiti di Zoldo. Per dir la verità all’inizio sognavo di fare quella cosa ma non sapevo nemmeno come si chiamasse veramente…
Questa ardita via aperta nel 1961 da cinque scalatori appartenenti ad un gruppo prestigioso, gli Scoiattoli di Cortina, dedicata alla memoria di un loro compagno Albino Michielli detto “Strobel” si sviluppa poco a destra del formidabile spigolo che caratterizza il versante nord ovest della Rocchetta Alta.
La prima volta che vidi quella maestosa montagna ero in macchina con mio padre e avevo 11 anni. Ricordo che era inverno e che stavamo tornando a casa dopo una giornata passata sugli sci a Pecol di Zoldo. La montagna mi piaceva già ma non conoscevo niente di alpinismo. Eppure quell’enorme ascia di pietra con quella sua linea perfetta mi impressionò sin da subito.
Dopo quel “colpo di fulmine” tornai parecchie altre volte in Valzoldana ai piedi del monte Civetta ma il mio sguardo cadeva sempre lì verso sud a cercare quello spigolo, quella montagna….
Ma lo spettacolo più grande per me era quello di trovarmi poco a monte della diga di Pontesei nelle immediate vicinanze di di Forno di Zoldo nel tardo pomeriggio quando il pallido sole del tramonto illuminava l’ardita e slanciata forma della Rocchetta Alta con la mia linea dei sogni. Proprio da quel punto potevo vederla finalmente in tutta la sua maestosità e bellezza.
Ricordo che non c’era verso, tutte le volte volevo scendere dalla macchina per osservare bene senza vetri di mezzo quel fantastico spigolo! Rimanevo li fuori al freddo con le mani in tasca e con gli occhi puntati su quella linea quasi attonito per tanta bellezza. Sognavo letteralmente ad occhi aperti. Quella paurosa parete verticale intervallata solo da qualche esile cengia sembrava risucchiarmi verso di se.
Passò qualche anno, la montagna mi piaceva sempre più fino a quando decisi di partecipare al corso roccia della Scuola Val Montanaia del CAI di Pordenone. Avevo solo 15 anni e in quanto minore, mio padre fù costretto a firmare una liberatoria perchè io vi potessi partecipare . Fu proprio durante il corso che una sera in rifugio dopo cena ebbi modo di documentarmi su quello che per me era solo una cosa bella che mi aveva fatto sognare. Ero lì da solo in un angolo della sala, tutto preso dai mie pensieri mentre sfogliavo la guida dei monti d’italia di G.Angelini e P. Somavilla alla ricerca del mio sogno. Quella sera quel mio sogno prese un nome e una difficoltà. Nella paginetta dedicata allo Spigolo Strobel la guida così sentenziava:
“Superba arrampicata, di grande eleganza e logicità, che risolve uno dei più interessanti e autentici problemi delle Dolomiti. La via ormai divenuta classica si svolge sempre sul fianco destro del meraviglioso spigolo, liscio e compatto, prevalentemente in arrampicata libera di massima difficoltà; peraltro anche i tratti di arrampicata artificiale interposti sono stati calssificati molto severamente. Roccia ottima. Altezza 650 mt. Difficoltà 6+ A1 e A2- Ore 10-12 per la salita – Negli ultimi tempi la via è stata percorsa con uso molto limitato di mezzi artificiali , con difficoltà paragonabili alle massime che si incontrano nelle Dolomiti”.
Troppo difficile per uno sbarbatello come me! Ci vuole tempo, costanza e tanti metri di altre pareti più facili prima anche solo di pensare ad una cosa del genere! Dicevo dentro di me.
Finito il corso, ricordo che per prima cosa comprai la guida dei monti d’Italia “Pelmo e Dolomiti di Zoldo“. Quel paragrafo lo leggevo ogni sera prima di andare a letto. Era diventato la mia fissazione una specie di incubo.
Negli anni 90 per avere qualche informazione utile sulle vie classiche in Dolomiti c’erano le piccole guide marroncine del Berti, il Dinoia e il grande libro rosso di Gino Buscaini e Silvia Metzelin mentre Sentieri Verticali di Alessandro Gogna era la mia bibbia.
I week end intanto passavano insieme alle stagioni e alle vie che riuscivo a ripetere nelle Dolomiti. Grazie all’arrampicata sportiva anche il mio livello di preparazione fisica e tecnica aumentava insieme alla consapevolezza che un giorno forse…
Il momento giusto per attaccare lo Spigolo Strobel arrivò nell’agosto del 97 . Avevo 24 anni e 10 anni di salite di 4° e 5° con qualche passaggio di 6° ormai alle spalle. Mi sentivo finalmente pronto! Il mio compagno era Tiziano anche lui giovane e matto più di me. Ci eravamo allenati bene quell’estate. Quando partimmo da casa alla volta del rifugio Bosconero lui aveva appena scalato da un paio di giorni il lunghissimo spigolo dell’Agner e accusava ancora un po’ di stanchezza. Io stavo bene e mi sentivo super concentrato.
Arrivammo all’idilliaco rifugio Bosconero nel tardo pomeriggio, poi cenammo e via a letto presto. Durante la notte dormii poco: dubbi e paure non volevano lasciare il mio letto. Il giorno seguente partimmo prestissimo dopo una veloce colazione fatta al buio illuminati solo debolmente dalla luce di una lampada a gas. Faceva freddo e partimmo subito veloci per scaldarci un po’. Fatto sta che all’alba eravamo già all’attacco delle prime rocce che costituiscono lo zoccolo basale della parete vera e propria. Ricordo ancora che mi tremavano le gambe a guardare su verso l’alto. Poi ci legammo e iniziò la scalata vera e propria. Improvvisamente non avevo più paura, mi sentivo concentrato e arrampicavo preciso e leggero come non mai. La tensione aveva finalmente lasciato spazio all’azione tanto è vero che la relazione con il famoso paragrafo rimase chiusa al buio nella patella dello zaino per quasi tutta la salita. Solo ad un paio di tiri dal termine della via la consultai più per sfizio che per reale bisogno . La scalata filò liscia e a parte un paio di A0 nel grande diedrone giallo impiegammo meno tempo di quanto preventivato.
Immensa fu la sensazione che provai quando spuntai fuori al sole dall’ultima paretina lasciandomi alle spalle l’ombrosa parete con tutte le mie paure e i miei dubbi. Mentre recuperavo Tiziano, comodamente seduto sopra una larga cengia, pensavo a quanto fossi stato fortunato ad aver vissuto un’esperienza del genere. Più della soddisfazione di aver ripetuto una delle vie classiche più belle e difficili delle Dolomiti (così recitava allora la Guida dei monti d’Italia), la cosa veramente speciale è stata l’intero viaggio dentro me stesso per realizzare questo sogno: le mie paure, la mia motivazione e il fatto che quella via, quella parete mi avesse stregato ancora quando ero un bambino.
Quel giorno imparai una cosa: ascoltare i propri sogni rende vivi e fa della nostra vita una bella storia da scrivere e da raccontare. Quando c’è qualcosa dentro di profondo a cui si crede veramente e che rientra nelle proprie possibilità è giusto andare fino in fondo per quel qualcosa. Non importa se ci vorrà poco o tanto tempo. Importante è sognare, immaginare come sarà e poi farlo veramente.
Successivamente nel 2002, cinque anni dopo, tornai a ripetere la famosa via in completa arrampicata libera ( questa volta senza usare nessun chiodo per la progressione ma solo per assicurazione). Con me non c’era più Tiziano ma Michele un altro giovane e preparato compagno di allora.
La salii in poco più di cinque ore, divertendomi come un matto. Nonostante che mancassero solo due giorni a ferragosto eravamo solo noi a scalare sulla Rocchetta. Il tempo era splendido. In cima al pilastro, prima di iniziare la discesa, ricordo che indugiammo parecchio su un comodo terrazzino in compagnia di una lattina di birra da 0,5 lit rimasta bella fresca in fondo allo zaino dopo 600 mt di parete nord. Tutto intorno silenzio e una pace quasi irreale. Ma questa è un’altra storia…