L’inverno si avvicina, chissà se sarà un vero inverno e se sulle montagne italiane arriverà la neve? Se succederà, insieme a quella cosa bianca che scenderà giù leggera dal cielo e che tanto fa sognare scialpinisti, freerider e ciaspolatori, fioccheranno di sicuro anche i divieti che riporteranno molti appassionati con i piedi per terra. Ragazzi non facciamoci meraviglia, d’altronde siamo in Italia, il paese delle ordinanze e dei divieti e delle persone per bene. Si sa benissimo che qui da noi chi esce dai percorsi battuti è considerato dalla gente “normale” e dalle istituzioni quasi come un criminale, un cerca rogne, un poco di buono insomma.
Tutto questo paradossalmente quando il mercato dello sci freeride è in pieno boom nonostante la crisi e quando pressoché ogni stazione turistica invernale che si rispetti si fa bella illustrando nei propri depliant e nei propri siti sciatori colorati e con sci fat ai piedi che si divertono scendendo sconfinati pendii di neve fresca baciati dal sole!
Non è un po’ come il gioco del bastone e la carota? Pensateci un po’
Certo proibire dicendo di no al fuoripista è la cosa più facile ed immediata che salta in mente perché chi ci amministra può sempre lavarsi le mani da ogni responsabilità. Giusto? Ma a che prezzo?
Alcuni danni di questo “assistenzialismo garantito” tanto di moda nella società d’oggi in Italia ma non solo, sono sotto l’occhio di tutti altri invece sono più subdoli e meno evidenti ma non per questo meno importanti. Tengo a precisare che tutto ciò va oltre l’ambito della montagna invernale in senso stretto ma può essere applicato anche ad altri aspetti della vita di ogni giorno.
Divieti in montagna: la mia opinione
Quella dei divieti in montagna, quale ambiente potenzialmente pericoloso per l’uomo e mai scevro da pericoli, è un argomento che mi sta a cuore particolarmente perché tocca la mia libertà di scegliere consapevolmente assumendomi la responsabilità di ogni mia azione.
La montagna, ed in particolare la montagna invernale, si sa è un luogo duro e severo che richiede preparazione, esperienza e prudenza ma dove non è sempre possibile prevedere tutto in nome di un ostentata e alquanto utopistica idea di sicurezza totale. Un luogo dove l’uomo è soggetto alle regole della natura e non a regole scritte da altri uomini. Lassù vince l’aleatorietà, l’avventura, ma soprattutto vince la libertà. Come contropartita è richiesta l’accettazione di un rischio anche minimo che sarà sempre presente e mai eliminabile del tutto e che ognuno dovrà saper gestire al meglio, a tutela della propria incolumità, tramite scelte consapevoli e responsabili. Queste sono le regole del gioco. Punto e basta!
Chi in nome della sicurezza ha la pretesa di far diventare la montagna un luna park sotto il proprio controllo affidandosi a norme, regolamenti e divieti sbaglia di grosso. Questo tipo di comportamento contribuisce a creare solo confusione, superficialità di giudizi e false credenze rischiando di distogliere l’attenzione dell’utente dalle cose veramente importanti.
Facciamo un esempio pratico: il caso tipico è l’emissione di un ordinanza di divieto di fuoripista in una determinata zona con pericolo di valanghe grado 4 (forte) per un periodo circoscritto. L’utenza può dare per scontato che quando l’ordinanza sarà revocata il pericolo non esisterà più, quando gli addetti ai lavori sanno benissimo che anche in presenza di pericolo grado 2 non si è mai completamente al sicuro. Allo stesso modo una persona non particolarmente esperta potrà essere indotta a pensare che fuori dalle zone proibite il pericolo non sussista. Sembra una sciocchezza ma ho sentito bene con le mie orecchie certi discorsi a riguardo assai poco confortanti.
A questo punto qualche benpensante potrebbe obiettare che nessuno ordina di ficcarsi nei pericoli mettendo anche a repentaglio la vita dei soccorritori. A questa osservazione rispondo, coerentemente alla linea intrapresa finora, adducendo che le persone che fanno parte del soccorso alpino sono in primo luogo appassionati e assidui frequentatori della montagna che sanno comprendere più di altri le motivazioni e la passione di colui che viene soccorso. E poi chi ha stabilito che la squadra di soccorso debba sempre partire in qualunque condizione? Come vedete si ritorna sempre al punto di partenza: quello di fare delle scelte consapevoli assumendosi le responsabilità delle proprie azioni senza pretendere miracoli da nessuno e senza volere trovare a tutti i costi un colpevole che paghi per i nostri sbagli. Assecondando questa linea sono convinto che nei casi di dubbio circa le condizioni della neve, del meteo e della montagna in generale ci sarebbe forse qualche rinuncia spontanea in più e comunque certe scelte verrebbero prese con minor leggerezza.
Per facilitare delle decisioni consapevoli e responsabili e limitare al massimo il numero degli incidenti bisognerebbe prendere la strada della formazione, della conoscenza e della cultura coinvolgendo soprattutto coloro che sono i veri professionisti della montagna ovvero le Guide Alpine. Come? Attraverso seminari nelle scuole, eventi ad hoc organizzati dalle stesse stazioni turistiche invernali e altre attività che possano in qualche modo portare una maggiore chiarezza e consapevolezza nei media su ciò che comporta praticare certe attività in montagna.
Se proprio vogliamo mettere dei cartelli, al posto dei divieti che prevedono coercizioni della propria libertà e multe nel caso di inosservanza, opterei piuttosto per delle semplici segnalazioni che ognuno potrà considerare o meno in base alla propria coscienza, preparazione ed esperienza.
In conclusione carte e regolamenti non sono serviti e non serviranno nemmeno in futuro a prevenire gli incidenti perché la capacità di gestire il rischio in montagna spetterà in primo luogo sempre e solo a chi la frequenta.
Questo è il mio pensiero mentre sto già sognando l’inverno che verrà.