Amici arrampicatori, quella che vi voglio raccontare oggi è la storia di un nodo mancato, ovvero un nodo non eseguito e non finito come si deve causa superficialità e distrazione. Una storia personale finita bene che ha forse inconsciamente cambiato il mio approccio con l’arrampicata.
Delle diverse cause di incidenti in arrampicata sportiva quella del nodo mal fatto o incompleto è forse quella più assurda e subdola. Attenzione! Non voglio portare sfiga a nessuno ma è’ più probabile che possa succedere proprio a chi arrampica parecchio e da molto tempo. Ne sanno qualcosa la famosa arrampicatrice statunitense Lynn Hyll e la forte guida fassana Bruno Pederiva. Entrambi veri e propri miracolati del nodo incompleto dopo un volo a terra da una ventina di metri…
Alla base delle falesie e nelle sale indoor di arrampicata di questa cosa del nodo incompleto o sbagliato non si parla quasi mai. Si parla di solito di gradi, di allenamento, della paura di volare, della pelle delle dita che si stacca, di assicurazione statica o dinamica… di come usare al meglio il Gri Gri ecc…
Ma se ci pensiamo un po’ogni giorno migliaia di climber ripetono più volte lo stesso gesto. Un gesto che tutti impariamo ancora prima di toccare la roccia e che aihmè con il tempo diventa sempre più automatico: quello di legarsi correttamente prima di alzare il piede da terra.
Passano gli anni e quel benedetto nodo lo fai cento, mille, diecimila volte. Poi arrivi al punto che pensi ad altro quando lo fai. Che sia bulino o otto infilato sempre quello è… Eppure se lo sbagli o non lo finisci ti può anche uccidere. Porca puttana non ci sono vie di mezzo con questo nodo! Se l’errore l’hai fatto e il tuo compagno non si accorge in tempo, l’hai fatto e basta e solo la fortuna ti concederà il lusso di essere ancora qui a raccontarla a tutti quelli che quel giorno non c’erano…
Il mio nodo mancato
Falesia di Dardago, pomeriggio tardo estivo. Anno 2001. Solita gente e solita falesia. Il sole è già sceso dietro la montagna, voglia di arrampicare nemmeno tanta. Cazzeggio un po’, tiro fuori la corda dallo zaino e indosso l’imbracatura. Poi parto per la solita Fessura, un 6b+ che faccio sempre di riscaldamento. Tutto ok come sempre.

L’autore in azione a Dardago
Arriva un vecchio amico che si mette a parlare con me di scarpette e di mescole morbide e rigide. Dopo aver fatto sicura al mio compagno, tocca di nuovo me. L’amico insiste per farmi provare le sue nuove scarpette. Io inizio il solito nodo ad otto inseguito (nella foto in basso) ma chissà per quale strana ragione non lo finisco, poi prendo in mano le scarpette del mio amico e me le infilo su. Fanno male, un male cane! Oggi non ho voglia di soffrire! Intanto il nodo è ancora lì fatto a metà. Non ci faccio caso più di tanto distratto da altri discorsi. Forse me lo sono già dimenticato… Infilo le mie di scarpette senza neppure avere il dubbio di dover fare ancora qualcosa prima di mettere le mani sulla roccia. Vado! E inizio a scalare come se nulla fosse con l’amico sotto che mi fa sicura.

Il nodo a otto inseguito
In poche bracciate arrivo al passaggio chiave dell’Intrusa, una via di 6c+ che conosco a menadito, a circa 15 metri di altezza. Non so per quale strano caso butto l’occhio sul nodo. O meglio su quello pseudo nodo appena iniziato e non finito! Brividooooo! Solo un po’ di nastro attorno al capo della corda ha fatto si che essa non si sfilasse durante i precedenti movimenti.
Se la corda si fosse sfilata dalla mia cintura già nei primi metri sarebbe stato meglio. E invece no, mi trovo a metà via con la corda che non serve a niente.
Con un piccolo e rapido passo in discesa mi assicuro velocemente con un rinvio ad uno degli spit della via e mi lego correttamente. E’ andata bene anzi benissimo! Poi riparto e arrampico velocemente arrabbiato con me stesso e raggiungo la sosta 10 metri più in alto. Certo, aver commesso un errore così madornale, mi ha messo in imbarazzo davanti a tutti i presenti. Arrivato in sosta, prima di calarmi mi si rizzano tutti i peli del corpo: se fossi arrivato fin qui senza accorgermi di quel maledetto nodo forse non ci sarebbe stato scampo. La corda insieme alla vita mi sarebbe sfilata davanti proprio nel momento in cui il mio compagno avrebbe cominciato a calarmi a terra. Allora avrei sentito solo il soffio dell’aria e poi bum…
Quel pomeriggio avevo arrampicato con la falce dietro al collo senza rendermene conto: una cosa è affrontare una via volutamente slegati con la consapevolezza di esserlo altra cosa è essere incoscienti di farlo come nel mio caso.
Quel fottutissimo errore l’ho commesso proprio durante l’anno che ho arrampicato di più e che mi sentivo più in forma. Dove? A Dardago nella mia falesia di casa tanto per cambiare…
A guardare bene tra montagna e falesia arrampicavo quasi tutti i giorni in quel periodo. Mi sentivo bene sulle pareti. Avevo confidenza e sicurezza. Forse troppa! Gli stessi gesti ripetuti e straripetuti allo sfinimento mi avevano alla lunga fatto abbassare il livello di guardia proprio sull’abc della sicurezza in arrampicata: legarsi con un nodo corretto e completo.
Quel pomeriggio mi mangiai un bel bonus. Altre volte ero stato bravo ma questa solo fortunato. Poi arrivò l’autunno e smisi di arrampicare per un po’…
Controllo reciproco! Controllo reciproco! Controllo reciproco! Questa è la lezione.

Controllo reciproco tra compagni di scalata
Controllo incrociato tra compagni di scalata sulla correttezza del nodo e sul giusto posizionamento della corda nel freno di assicurazione prima di alzare il piede da terra. Questo sempre e con tutti e a maggior ragione se siete degli esperti.
Quattro occhi sono sempre meglio che due.
Foto di copertina: Image credit In Mont