Salute e montagna: la montagnaterapia

Oggi vi parlerò di Montagnaterapia, un argomento molto interessante, sconosciuto ai più di cui recentemente ho avuto modo di documentarmi grazie alla conoscenza del Dott. Angelo Brega, psichiatra e referente  per diversi anni per la Montagnaterapia nella macrozona Veneto- Friuli Venezia Giulia prima dell’attuale, Massimo Galiazzo.

In un precedente articolo intitolato “Camminare in montagna fa bene” avevo già parlato dei numerosi benefici che l’andare per i monti porta alle persone cosiddette normali. Con la montagnaterapia vedremo come questi benefici possano essere estesi anche a persone diversamente abili, a coloro che hanno seri problemi psichici e ancora ai giovani che stanno vivendo un momento di particolare difficoltà.


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Che cos’è la Montagnaterapia ?

E’ un approccio a carattere terapeutico-riabilitativoe/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, psichiatriche, fisiche, emotive e cognitive. Essa ha l’obbiettivo di migliorare la salute globale della persona affetta da questo tipo di patologie…

montagnaterapiaLa cima di una montagna da sempre rappresenta metaforicamente il successo, il raggiungimento di un obbiettivo, un punto di arrivo ma anche la fatica, la sofferenza e il sacrificio per raggiungerla. Sembra incredibile che un ambiente così duro e privo di comodità come la montagna  possa essere sfruttato con i dovuti accorgimenti ai fini terapeutici per migliorare la qualità della vita anche delle persone più deboli o problematiche. Ma forse è proprio in questo contrasto che bisogna leggere questo particolare approccio di vivere la montagna: molto spesso ogni cambiamento in meglio richiede fatica, impegno e dedizione e la montagna da questo punto di vista è un ottima palestra per allenarsi a tener duro e a non mollare di fronte alle difficoltà della vita.

Proprio per entrare nel vivo di questo argomento ho voluto intervistare il Dott. Angelo Brega, il quale con le sue risposte ci chiarirà alcuni aspetti importanti di questo progetto.

Chi è stata la prima persona o gruppo di persone in italia a credere seriamente nel potere terapeutico della montagna ?

È difficile rispondere con precisione a questa domanda. Probabilmente ci sono persone, gruppi, che da molto tempo hanno iniziato attività che potremmo considerare, in senso lato, come Montagnaterapia, senza magari farsi “pubblicità” e sfuggendo quindi alle statistiche.

Il termine “Montagnaterapia” è stato coniato nel 1999; i primi passi del movimento si possono far risalire ai primi anni del 2000; tappe importanti sono poi i convegni del rifugio Pernici, presso Riva del Garda, nel 2004 e 2005, e il convegno del passo Pordoi nel 2007: dove si è iniziato a “mettere in rete” realtà già attive in diverse zone del territorio nazionale.

Dal 2008 ogni due anni si svolge un convegno nazionale, che ha sempre visto grande partecipazione di operatori, volontari e pubblico: il prossimo si svolgerà in Piemonte nell’autunno 2014.

Per esigenze di tipo organizzativo, sono state individuate delle “macrozone”, ognuna delle quali ha un referente: per facilitare la comunicazione fra i gruppi e l'”emersione dal sommerso” di tante esperienze che sono tuttora attive pur senza far parlare di sé, e anche per aiutare chi volesse far nascere nuovi gruppi.

In che ambito nasce questo progetto, dove  è inserito e con il supporto di chi viene realizzato ?

i progetti di Montagnaterapia hanno caratteristiche diverse in base ai contesti in cui nascono. In molti casi sono organizzati dal servizio pubblico (dipartimento di salute mentale, servizi per le dipendenze o per la disabilità), solitamente con la partecipazione di volontari del CAI. Vi sono anche esperienze importanti intraprese dal privato sociale (cooperative che collaborano con il servizio pubblico, e anche associazioni ad hoc come per esempio l’associazione “Equilibero” di Padova, il gruppo “Andalas de amistade” in Sardegna e l’associazione “Natura umana” del Lazio).

In cosa consiste in concreto il progetto di montagnaterapia?

posso fare l’esempio della nostra esperienza di Oderzo (gruppo montagna “i Pelandra”).

Si tratta di un’attività organizzata dal centro salute mentale (CSM) che fa capo all’ULSS 9 di Treviso, con la collaborazione di cooperative del privato sociale (“Kalamita” e “il Girasole”) e del CAI di Oderzo e San Polo di Piave.

Il gruppo è costituito da utenti ambulatoriali del CSM e del centro diurno “il Porto”: alle uscite partecipano operatori del servizio pubblico e del privato sociale. L’attività consiste prevalentemente in percorsi di trekking di medio impegno, con l’accompagnamento del gruppo escursionistico del CAI di Oderzo. Vi sono state anche esperienze di approccio all’arrampicata sportiva, presso la palestra “Sportler climbing center” di Treviso e la palestra del CAI di San Polo di Piave.

Come dicevamo, in base ai diversi contesti organizzativi e alle diverse esigenze degli utenti ci possono essere importanti differenze nello svolgimento dell’attività.

montagnaterapia

A chi è rivolto questo progetto e come si fa a partecipare come utente o come collaboratore?

I progetti di Montagnaterapia possono essere rivolti a utenti di servizi di salute mentale, per la disabilità, per la dipendenza, o per adolescenti. Vi sono poi esperienze in ambito internistico (pazienti cardiologici, diabetici), con non vedenti e con persone con disabilità fisica (per esempio paraplegia dovuta a lesioni del midollo spinale).

Per partecipare come utenti, è quindi opportuno rivolgersi ai servizi di competenza. Per prendere parte alle attività di Montagnaterapia come operatori, è utile informarsi se nella propria struttura di appartenenza vi siano già progetti in tal senso: in caso contrario, perché no, darsi da fare per organizzarli ex novo. C’è sicuramente bisogno di nuove energie!

Per partecipare come volontari, si può informarsi presso la sede locale del CAI, chiedendo se sia già coinvolta in collaborazioni in questo ambito. Altrimenti è senz’altro possibile rivolgersi ai referenti di macrozona, utilizzando i recapiti che si possono trovare sui link elencati sotto.

La tua è un attività di volontariato, quali sono le soddisfazioni che trai dai questa attività e le motivazioni che ti spingono a continuare ?

Il mio impegno nella Montagnaterapia si svolge in buona parte in ambito istituzionale: intendo le uscite con il gruppo “i Pelandra”, gli incontri pre e post uscita e le incombenze organizzative. Invece la formazione, la partecipazione a eventi e altre collaborazioni, spesso sono attività che svolgo nel tempo libero. Personalmente credo che quando la motivazione è forte e si crede in quello che si fa, non si viva come un peso, anche se l’attività è obiettivamente impegnativa e comporta responsabilità. L’impegno è largamente ripagato quando si vede che gli utenti apprezzano le uscite, e nel tempo si toccano con mano i risultati. Poi trovo molto importante far parte di una comunità di persone che portano nella professione l’entusiasmo e la passione maturata in tanti anni di frequentazione della montagna: un nutrimento prezioso per la motivazione, che come si sa è uno dei fattori essenziali per svolgere bene il nostro lavoro.

Quali sono le attività ludico-sportive legate al mondo della montagna che vengono maggiormente proposte nell’ambito delle vostre uscite?

montagnaterapiaVi sono attività diverse, si cerca di individuare quelle più adatte in base alle caratteristiche del gruppo e agli obiettivi che ci si propongono. Nella mia esperienza (io seguo pazienti di un centro di salute mentale) vedo che le attività più apprezzate sono escursioni-trekking di medio impegno, e uscite sulla neve con ciaspole. Ci sono poi progetti orientati ad attività più “adrenaliniche”, come l’arrampicata sportiva o il rafting; esperienze con lo sci di fondo, e anche uscite in grotta. La montagna offre infinite possibilità, sta a noi individuare quelle che meglio si prestano alle finalità terapeutiche e riabilitative di un particolare gruppo in un determinato momento.

Come vengono composti i vari gruppi oggetto di un programma riabilitativo, la sua durata nel tempo e la frequenza delle uscite in ambiente?

Non sono state ad oggi definite delle linee guida vincolanti: in linea di massima, comunque, vedo che ci sono degli elementi comuni alla maggior parte delle esperienze. Solitamente i gruppi sono composti da 10-15 persone, accompagnate da alcuni operatori, solitamente due-tre, e da volontari (prevalentemente accompagnatori e soci CAI). A volte, in base all’impegno degli itinerari e anche ai vincoli di budget, vengono coinvolti professionisti, come le guide alpine. La frequenza delle escursioni è variabile, spesso intorno a una al mese; i più “fortunati” riescono a uscire anche una volta alla settimana, altri invece si limitano a 5-6 volte all’anno. Usualmente le uscite sono precedute da un incontro preparatorio, informativo, e seguiti da una rielaborazione di gruppo.

Un aneddoto particolare che vuoi raccontare che ti è rimasto impresso durante questi anni.

Ci sono molti aneddoti che meriterebbero di essere raccontati. Mi ricordo volentieri un episodio, quando con il nostro gruppo abbiamo fatto una prova di arrampicata presso la palestra artificiale che ci è stata messa a disposizione dal CAI di San Polo di Piave. Come spesso succede in questi casi, alcuni membri del gruppo sono riusciti subito a salire alcune facili vie, altri hanno provato un po’ di paura per l’altezza e la situazione inusuale – anche se in realtà non c’era nessun pericolo – e si sono bloccati. Allora mi sono fatto assicurare e sono salito sulla via a fianco: con l’aiuto di consigli e incoraggiamenti, dati da vicino, i “novizi” si sono fatti forza e sono arrivati in catena. Questo ha dato loro la soddisfazione di superare un “blocco”, e quindi un beneficio i termini di autostima e autoefficacia, e a noi operatori la conferma dei possibili benefici di questo metodo.

Da appassionato di montagna quale sei e da professionista curante la salute mentale delle persone, quale è il tuo punto di vista sui benefici psicofisici dell’andare in montagna?

Personalmente parto dal presupposto che tutti noi, appassionati di montagna, abbiamo sperimentato: andare in montagna fa bene. Io vedo che dopo una settimana impegnativa sul lavoro, se nel weekend riesco a fare una bella uscita in montagna, il lunedì mi sento meglio, e riprendo l’attività più volentieri e con più energie.

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Naturalmente questa è una percezione soggettiva, mentre un’attività che voglia essere riconosciuta sul piano scientifico deve accumulare delle evidenze consolidate.

Oggi cominciano ad essere universalmente accettati alcuni punti:

  • il beneficio, genericamente inteso, legato all’attività fisica: sul cardiocircolo, la capacità respiratoria, il peso, il controllo glicemico, ecc…
  • la promozione di uno stile di vita sano (riduzione del fumo, regime dietetico adeguato), e una maggiore attenzione alla cura di sé (si pensi alla necessità di attrezzarsi con abbigliamento adeguato, di preparare uno zaino eccetera).
  •  vi sono evidenze solide anche sull’effetto antidepressivo dell’attività fisica
  •  la possibilità di confrontarsi con i propri limiti in un ambiente inusuale: la fatica, il timore dell’esposizione, il freddo – senza che questo comporti un reale pericolo. Ciò permette delle importanti acquisizioni in termini di autostima e autoefficacia.
  • riprendere il contatto con l’ambiente naturale, relativamente incontaminato, è un passaggio importante: consideriamo che spesso i nostri pazienti conducono una vita di routine, trascorrendo molto tempo a casa o nell’ambito dei servizi.
  •  il contesto della montagna permette un’esperienza “diversa”, sia nel gruppo degli utenti sia nella relazione con gli operatori. Inoltre ritengo molto importante il il ruolo dei volontari, con cui spesso si instaurano relazioni che vanno aldilà della Montagnaterapia, realizzando così un valido intervento di interazione sociale e lotta allo stigma.

Se siete interessati alle attività di montagnaterapia molto utile è la consultazione del sito sopraimille dove è possibile contattare il referente più vicino alla vostra residenza grazie alla suddivisione dell’Italia in macrozone.

Image credit www.sollevamenti.org