Ricordo che era febbraio, forse del 93 o forse del 94, quando decisi di organizzare un week end d’avventura alla Baita Angelini con un gruppetto di amici. La Baita Angelini è un piccolo ricovero in legno, situato in una magnifica posizione panoramica a quasi 1700 mt di altezza, alle pendici settentrionali delle cime di San Sebastiano in Val Zoldana.
Pochi mesi prima, per precisione durante le vacanze natalizie, ero già stato lassù a passare un paio di giorni con altri amici con cui condividevo la passione di andar per monti. Ricordo che, quella notte di dicembre, patimmo un gran freddo e il mattino dopo, prima di tornare a valle sotto una copiosa nevicata, lasciai sul tavolo della baita una decina di birre con la scusa di tornarci presto. L’uscita di febbraio non sarebbe stata affatto uno scherzo. Si perchè, nel gruppetto di sei o sette persone che avevo coinvolto, alcuni elementi con la montagna non c’entravano proprio nulla! In primis il mio grande amico Marco di Ravenna con cui condividevo insieme a Paolo, anche lui parte del gruppo, un appartamento nella periferia di Ferrara ai tempi dell’università. Marco, con il coraggio di un vero lupo di mare, accettò la mia proposta senza tanto pensarci, forse inconsapevole di cosa volesse dire camminare in montagna in un mare di neve!
Ovviamente quella volta ci mettemmo anche del nostro e non si partì prima di mezzogiorno! La mattina la perdemmo interamente a racimolare l’attrezzatura e l’abbigliamento più idoneo per permettere al variegato gruppo di affrontare l’escursione…
Già dopo un’ora di cammino, alla Casera del Pian in fondo alla valle della Malisia, la coltre bianca copriva non solo il sentiero ma persino molti dei cartelli e dei segni che aiutano nell’individuazione del percorso per la piccola baita. Alternandomi a Roberto e Stefano, gli altri due amici che avevano un allenamento e una preparazione adeguata alle condizioni della gita, battei traccia nella neve altissima senza ciaspe. Le mie le avevo lasciate a Marco e Paolo che mi seguivano a distanza alternandosi nell’uso. Ora quella delle ciaspe è diventata una moda e spesso vengono usate anche dove non servono ma quella volta mi avrebbero fatto risparmiare un sacco di fatica!
Sbucammo fuori dal bosco verso le 16, bagnati fradici, giusto in tempo per ammirare uno dei tramonti più belli che ho visto in vita mia. Alcuni alti cirri di color rosa addobbavano qua e là il cielo sopra le cime delle montagne indorate dall’ultimo sole della giornata mentre l’arietta frizzante della sera cominciava a farsi sentire. Certi momenti restano, è impossibile dimenticarli.
Dopo lo spettacolo del tramonto e un sorso di thé dalla borraccia continuammo a salire un po’ preoccupati visto che ci restava si e no un’altra ora di luce. Segni o altre tracce di passaggio neanche a parlarne. Solo neve, tanta neve come poche altre volte ne avevo vista. Qualcuno del gruppo, ormai visibilmente stanco, cominciava a lamentarsi manifestando l’intenzione di tornare indietro. Mi dovetti concentrare non poco per trovare la strada giusta in mezzo a tutta quella neve, fortuna volle che ero stato lì pochi mesi prima e questo mi aiutò non poco nell’orientarmi. Era praticamente quasi buio quando vidi spuntare dalla neve la parte superiore di un cartello giallo dove veniva riportato che mancavano 15 minuti alla Baita Angelini. Questo ritrovamento portò immediatamente un clima di fiducia che si diffuse velocemente in tutto il gruppo! Con entusiasmo ci inerpicammo lungo l’ultimo costone di mughi e di radi larici che caratterizza la parte finale di questa escursione poi, dopo qualche minuto, proseguii da solo in avanscoperta. Quando dopo l’ennesima lotta tra i mughi ormai cominciavo a non poterne più, scorsi la sagoma di una casa coperta da una spessa coltre bianca. La Baita Angelini era lì sotto la neve! In quel momento mi rilassai e mi sentii felice. Solo pochi istanti di pace prima di tornare indietro per avvisare gli altri. Tutto ad un tratto sentii un lamento. Era il mio amico Marco che in preda ai crampi giaceva disteso sulla neve. Fortunatamente nel nostro nutrito gruppetto avevamo anche un fisioterapista che, con qualche massaggio, riuscì a rimetterlo in piedi giusto per consentirgli di fare gli ultimi 200 metri che lo separavano dall’agognata meta. Il salvatore di Marco era un bel personaggio di quelli che ricordo ancora con piacere e che purtroppo da quella volta non ebbi più la fortuna di incontrare.
In pochi minuti scavando nella neve riuscimmo ad individuare la porta d’entrata della piccola baita. Appena varcammo l’uscio le nostre frontali illuminarono le birre che avevo lasciato qualche mese prima. Erano ancora lì sopra il tavolo belle fresche e tutte per noi! La festa ebbe inizio e dopo aver acceso il focolare e messo qualche cosa sotto i denti la serata si animò non poco. L’indomani sarebbe stata una bella giornata di sole e avremmo dovuto solo scendere a valle lungo quella specie di trincea nella neve che avevamo ormai lasciato alle nostre spalle.
Chi l’ha detto che a vent’anni ci si diverte solo in discoteca e non in Baita Angelini?